Uomini e animali uniti nella buona e nella cattiva sorte – Rivista Consumatori
Il disturbo da accumulo coinvolge anche cani e gatti: non è amore ma una psicopatologia.
Uomini e animali sono profondamente legati, nella buona e nella cattiva sorte.
Gli animali d’affezione, in particolare, sono lo specchio della nostra società e dove c’è un disagio, sono spesso i primi a farne le spese.
Manuela Michelazzi, direttore sanitario del Parco Canile di Milano, ci racconta che la struttura negli ultimi mesi è in grave difficoltà perché il
numero degli ospiti, cani e gatti, è drasticamente aumentato.
«La ragione di questo – spiega la dottoressa –, affonda le sue radici in una società che cambia ed è sempre più complicata. Un fenomeno, ad esempio, che si sta espandendo, ma sottovalutato e sottostimato, è quello degli accumulatori di animali. Si tratta di persone che tengono in condizioni non idonee un numero eccessivo di animali.
Una volta entrati in canile, però, essendo animali di proprietà, non possono essere dati in adozione, fino a quando un procedimento penale (nel caso di sequestro) o una cessione da parte del proprietario stesso, stabilisca il loro destino.
Ma i tempi della burocrazia possono richiedere anni e capita spesso che le povere creature invecchino e muoiano in canile.
Va anche considerato che è complicato trovare qualcuno che prenda temporaneamente in affido un animale con il timore di doverlo restituire al legittimo proprietario se la sentenza arriva a stabilire questo».
«Sono frustrata – confessa la veterinaria – perché quando dobbiamo ridare indietro un cane sappiamo che nella maggior parte dei casi torna in un contesto malsano dove non è accudito come meriterebbe. Ma non è possibile fare altrimenti.
Oltretutto i costi sono altissimi perché oltre a quelli di routine, legati alla normale gestione, ci sono anche quelli veterinari, dato che quasi sempre si tratta di animali che necessitano di molte cure e di un’alimentazione particolare.
Un altro grosso problema è rappresentato dalle persone che devono scontare lunghe pene in carcere, ma che non vogliono cedere l’animale, costringendo di fatto anche l’innocente creatura a una lunga prigionia in canile.
Purtroppo se un animale di proprietà non viene formalmente ceduto deve rimanere in una struttura apposita».
«Lo scopo di tenere un cane il più breve tempo possibile nei rifugi sta venendo meno – si rammarica la veterinaria – ed è un vero peccato perché la
maggior parte di questi animali, una volta curati, sarebbero facilmente adottabili. Al momento abbiamo quasi 200 cani, un numero mai raggiunto in passato. Sono quasi 50 in più dell’anno scorso nello stesso periodo e che occupano spazi che potrebbero servire ad altri soggetti che hanno bisogno e che transitano al canile. Bisognerebbe creare gruppi di lavoro interdisciplinare, formati da veterinari, assistenti sociali e forze dell’ordine per affrontare alla radice il problema perché spesso si tratta di individui recidivi, che ricominciano da capo quando si pensa che il problema sia risolto».
Nei paesi anglosassoni l’Animal Hoarding, o accumulo di animali, è stato ampiamente studiato mentre nel nostro paese è poco noto e di conseguenza cercare di arginarlo non è semplice. Spesso queste persone vivono isolate e la loro situazione viene conosciuta solo per caso o quando è completamente fuori controllo.
La professoressa Emanuela Prato Previde, psicologa dell’Università Statale di Milano e responsabile del Canis sapien Lab dove viene studiata la relazione tra cani e umani, è una delle poche studiose che, insieme ai suoi collaboratori, si è occupata di questo tema da cui è nato anche un libro Una pericolosa Arca di Noè, ed. Cosmopolis.
«Un fenomeno – spiega – che è stato a lungo considerato uno stile di vita ma che oggi viene in genere riconosciuto, da parte della comunità scientifica, come una variante del Disturbo da Accumulo che si trasforma in una forma di maltrattamento degli animali.
L’individuo che può arrivare ad accumulare in spazi non adeguati anche centinaia di animali, spesso non riconosce le loro pessime condizioni di salute né la scarsa igiene dell’ambiente domestico in cui vive.
Negli Usa si presentano ogni anno tra i 700 e i 2000 nuovi casi, mentre in Italia non ci sono ancora dati disponibili.
Un disagio di cui soffrono di più le donne e troppo spesso archiviato come un comportamento eccentrico e un eccessivo amore per gli animali.
È sbagliato pensare che siano coinvolti solo individui svantaggiati dal punto di vista socioeconomico perché è una realtà trasversale.
Sebbene il comportamento di accumulo di animali derivi spesso dall’intento di prendersene cura o di salvarli, nella maggior parte dei casi queste situazioni evolvono in una vera e propria forma di maltrattamento. Si tratta spesso di persone psicologicamente fragili che si affezionano agli animali in modo patologico trovando in loro una forma di conforto. Negli Usa, l’accumulo rappresenta una delle maggiori cause di sofferenza per gli animali».
Articolo di Silvia Amodio pubblicato sulla rivista Consumatori – edizione Lombardia di novembre 2017.