Linosa: l’isola delle sirene – Rivista Consumatori
Pare proprio che Omero si fosse ispirato alle berte maggiori (Calonectris diomedea) quando nell’Odissea parlava delle sirene, spesso rappresentate come donne con le ali e le zampe da uccello. L’origine del mito nasce, con tutta probabilità, dal loro canto, che molti descrivono simile a voci di fanciulle o a pianti di bambini. In tempi recenti chi ha ceduto al fascino delle berte è Giacomo Dell’Omo, un naturalista che, da oltre quindici anni, studia nella piccola isola di Linosa, a nord-est di Lampedusa, la colonia più numerosa d’Europa, che a oggi conta migliaia di individui.
«Un luogo difficile da raggiungere, poco antropizzato, e dunque perfetto per ospitare le berte — spiega il ricercatore —. Questi uccelli possono vivere fino a cinquant’anni e formano coppie stabili. Durante l’anno conducono vite separate in mare aperto, ma si danno appuntamento a Linosa verso la fine di febbraio, sempre nello stesso nido. La femmina depone un unico grande uovo, covato inizialmente dal maschio, mentre la consorte sta in giro anche dieci giorni arrivando fino alle coste della Libia. Il poveretto per assolvere ai doveri coniugali perde fino a venti grammi di peso al giorno. Circa cinquantadue giorni dopo, il pulcino vede la luce e resterà nel suo nido per altri tre mesi, solo soletto durante il giorno e accudito, a turno, dai genitori di notte, che per i primi due mesi lo alimenteranno con un olio rossiccio altamente nutriente. Una sincronizzazione perfetta tra i coniugi finalizzata a far crescere, sano e robusto, l’unico erede. A ottobre l’intera colonia lascia l’isola e riparte, ciascuno per la propria strada, fino all’anno successivo, quando le coppie consolidate, puntuali come orologi svizzeri, si danno appuntamento nello stesso nido. Le berte si trovano a loro agio nelle tempeste e sono uccelli “pelagici”, cioè conducono la loro vita in mare aperto, sfruttando i venti per volare con il minimo sforzo energetico. Quando sono nell’oceano Atlantico durante l’inverno, non toccano terra per quattro mesi. Solo a Linosa, l’isola sulla quale si riproducono, gli individui della coppia si incontrano nel nido, due o tre volte al mese, prima della deposizione, ma gli incontri non durano più di una notte. Le berte compiono decine di chilometri ogni giorno per cercare pesci (principalmente alici e sardine) di cui si nutrono, dormono galleggiando sull’acqua e si riuniscono in gruppi (i raft) di fronte alla colonia per rientrare nei nidi solo quando la luna è assente, col buio pesto. Come facciano a trovare il nido di notte, tra le rocce laviche, rimane un mistero.
I giovani impiegheranno sei anni per raggiungere la maturità sessuale, per poi tornare sull’isola dove sono nati e incontrare il partner giusto con cui ripetere un rituale che la natura ha affinato in migliaia di anni».
L’isola, grande solo poco più di cinque chilometri quadrati, è stata frequentata in epoca romana, successivamente abbandonata e ripopolata stabilmente solo nel 1845. «Con gli umani generalmente arrivano anche gatti, cani, ratti e altre specie non autoctone, che rappresentano una grave minaccia per la fauna selvatica — spiega Martina Cecchetti, biologa —. Gli equilibri naturali vengono spesso compromessi per mano dell’uomo. In questo caso i gatti, presenti sull’isola, possono predare gli uccelli migratori, incluse le berte. Una grave perdita. Insieme a Giacomo ho fondato l’associazione Berta maris, finalizzata a studiare e a proteggere la fauna selvatica. Un modo per farlo è quello di contenere le nascite dei gatti. Nel 2015 abbiamo avviato una campagna di sterilizzazione. A oggi, sono stati operati 262 gatti su una popolazione di circa 382».
«Di questa iniziativa beneficiano in molti» prosegue Paolo Santanera, il veterinario che da Torino ha partecipato alle ultime due missioni. «Il contenimento numerico riduce la predazione sulla fauna selvatica, la sterilizzazione migliora la loro salute e i linosani, per altro piuttosto gattari, spendono meno soldi per il mantenimento delle colonie feline.»
APA, Action Project Animal, l’associazione animalista presieduta da Davide Acito, sosterrà, grazie a un contributo di “Alimenta l’Amore”, il progetto di sterilizzazione per i prossimi due anni.
Linosa è una perla da un punto di vista naturalistico e la sua conservazione è nelle nostre mani. Giacomo dell’Omo, insieme al docente dell’Università di Palermo Bruno Massa e grazie al contributo di ricercatori e studenti di altri atenei, ha applicato negli anni dei GPS sempre più miniaturizzati in grado di registrare con precisione gli spostamenti e i comportamenti delle berte in mare aperto. Giacomo cerca di far comprendere l’importanza di mantenere un equilibrio tra gli abitanti, i turisti e la fauna locale. Il contributo di APA è un grande aiuto per andare in questa direzione. «In passato» — aggiunge lo scienziato — i linosani integravano la loro dieta con le uova delle berte. Un’usanza, difficile da abbandonare, che negli anni ha minacciato la colonia. Per fortuna gli isolani e soprattutto i giovani sono consapevoli che la natura è un bene comune che va protetto e che può rappresentare una risorsa per promuovere un turismo responsabile».
Articolo di Silvia Amodio pubblicato sulla rivista Consumatori – edizione Lombardia di aprile 2022.