Fate l’amore non fate la guerra – Rivista Consumatori
Tra i bonobo le forme di cooperazione femminili sono vincenti. Forse dovremmo ispirarci alle scimmie antropomorfe per costruire una società più umana.
Il bonobo, insieme allo scimpanzé, appartiene al genere Pan e sebbene siano due specie (Pan paniscus la prima e Pan troglodytes la seconda) molto simili nell’aspetto, hanno comportamenti molto diversi. Questo è dovuto al fatto che a un certo punto della loro evoluzione hanno preso strade differenti.
Osservare gli animali, in particolare quelli più vicini a noi come le scimmie antropomorfe, può aiutarci molto a capire anche le origini del nostro comportamento e, magari, imparare qualcosa.
Ne sa qualcosa Elisabetta Palagi, etologa del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa che da anni studia questi animali svelandoci affascinanti retroscena.
«Entrambe le specie vivono in gruppi che possono contare fino a 200 individui, divisi poi in sottogruppi che nei bonobo sono molto più numerosi. Una differenza – spiega la ricercatrice – che dipende da fattori ecologici: il consumo di una dieta molto più ampia, per esempio, ma, soprattutto, dal fatto che i bonobo sono noti per la loro grande tolleranza sociale. Le femmine di entrambe le specie migrano una volta raggiunta la maturità sessuale, per evitare l’accoppiamento tra consanguinei e favorire uno scambio genetico. Questo significa che a causa di tali spostamenti, sia le femmine dei bonobo sia quelle di scimpanzé non hanno stretti legami parentali, al contrario dei maschi che essendo più stanziali, hanno più legami di sangue.»
E qui arriva il bello, ci racconta la ricercatrice: «Tra gli scimpanzé questo sodalizio tra maschi porta ad un controllo sociale e a un dominio sulle femmine, mentre tra i bonobo le femmine hanno sviluppato una serie di comportamenti (il gioco, il sesso, lo scambio di cibo) che rinsaldano le relazioni e creano vere e proprie alleanze. Questa strategia sociale fa sì che siano loro a tenere sotto controllo la situazione collocandosi gerarchicamente su un piano superiore rispetto ai maschi. Nessun individuo dotato di buon senso oserebbe sfidare un gruppo compatto di femmine! Durante il periodo fertile, come abbiamo visto, le femmine di scimpanzé vengono rapite dai soggetti dei sottogruppi per sottostare ai “doveri coniugali”, spesso in maniera coercitiva. Finito il periodo di ricettività rientrano nel nucleo di origine e, se tutto va come natura comanda, il viaggio di ritorno è fatto in dolce attesa. Nei bonobo, invece, poiché c’è molta coesione tra le femmine, ai maschi non viene concesso di agire con la forza, contrastare una di loro significa trovarsele tutte contro. Una scelta che non gli converrebbe per niente! Per questa ragione “fanno l’amore” con chi gli pare, quando gli pare». Questo è un aspetto un po’ piccante che differenzia le due specie, infatti, «mentre tra gli scimpanzé gli accoppiamenti sessuali sono limitati al periodo fertile e finalizzati alla riproduzione – prosegue l’etologa – nei bonobo le femmine sono disponibili sempre. L’erotismo è preso molto seriamente, tutti si scambiano contatti sessuali con tutti, anche tra individui dello stesso sesso». Il noto primatologo olandese Frans de Waal, che recentemente ha tenuto una conferenza proprio al Museo di Storia Naturale di Calci, in provincia di Pisa, non a caso le ha definite le scimmie a luci rosse e uno dei suoi primi articoli, pubblicato negli anni ’90, riportava questo titolo: Fate l’amore non fate la guerra. Ogni tensione viene stemperata attraverso il sesso e pare che i risvolti sociali siano incoraggianti.
«La morale della favola – sostiene la Palagi – è che le forme di cooperazione femminili sono vincenti per sopraffare coloro che vorrebbero ottenere qualcosa con la forza. Aiutarsi è un investimento che porta benefici individuali e collettivi. Se spostiamo queste osservazioni sulla società umana arriviamo a conclusioni simili. Questi giochi di potere legati al genere mi fanno venire in mente episodi purtroppo molto frequenti. I femminicidi e le violenze domestiche riempiono le pagine delle cronache. Se ci pensate bene, queste vicende sono più rare nei gruppi familiari numerosi e dove le donne sono legate e complici tra di loro. Quasi sempre sono drammi che, come abbiamo visto, non riguardano una particolare area geografica o una precisa classe sociale, ma si consumano in contesti il cui filo conduttore è la solitudine. Viviamo in un mondo globalizzato, ma allo stesso tempo individualista. Abbiamo perso l’idea di villaggio, di famiglia estesa, di scambi tra le persone, il concetto di prendersi cura insieme della prole. Oggigiorno viviamo su Facebook e sui social, sappiamo quello che succede dall’altra parte del mondo, ma non sappiamo nulla del nostro vicino di casa.»
La dottoressa conclude con un ammonimento: «Stiamo vivendo un isolamento sociale, preoccupante. Ricordo che quando ero bambina nella famiglia di mia nonna, le donne ogni pomeriggio erano tutte insieme a ricamare, per parlare e raccontarsi. In quel contesto non sarebbe stato possibile esercitare una violenza perché le altre lo avrebbero impedito. Più una donna ha un ruolo importante, tanto più viene garantito un equilibrio nel gruppo. Nelle famiglie matriarcali, per esempio, sono loro che rappresentano l’ago della bilancia.»
Articolo di Silvia Amodio pubblicato sulla rivista Consumatori – edizione Lombardia di giugno 2018.